Aula ueb

i bambini selvatici - storie di uomini allevati dalle bestie

« Older   Newer »
  Share  
iangida
view post Posted on 7/5/2008, 20:47




Vi incollo da http://www.feralchildren.com/en/pager.php?df=pagano2000&pg=2 questa storia che è forse uno dei casi più antichi e documentati di ragazzo selvatico, allevato dagli animali e ritrovato dagli uomini
insomma, uno di voi :-)

Victor - Il ragazzo dell'Aveyron Verso la fine del XVIII secolo, nell'Aveyron in Francia, correva voce che un essere selvaggio girovagasse nel bosco cercando radici e ghiande. Sembravano solo fandonie invece, nel settembre 1799, tre cacciatori riuscirono a bloccarlo mentre si arrampicava su un albero. Con loro grande stupore si trovarono di fronte un ragazzino nudo, sozzo, dalla carnagione chiara, che si dimenava per sfuggire alla cattura. Anche se era meno spaventoso di quanto ci si potesse aspettare, era lui il selvaggio oggetto di tante chiacchiere. Aveva capelli lunghi, sporchi e aggrovigliati, denti affilati e gialli, occhi bruni, naso lungo ed appuntito, mento sfuggente e un collo elegante sfigurato da una cicatrice. Doveva avere qualcosa come 11-12 anni, ma era basso per la sua età, neppure un metro e 40, e poi ringhiava e tentava di mordere chiunque.

Dato il carattere selvaggio il ragazzino fu legato, portato in paese e affidato ad una vedova che tentò di dargli un po' di affetto ed un minimo di educazione. Niente da fare: il giovane andava avanti ed indietro come un animale in gabbia, sputando, orinando e defecando ovunque. Alla fine i suoi ripetuti tentativi di fuggire riuscirono e dopo due giorni tornò fra le montagne.

Venne l'inverno, un inverno rigido e i villici si chiesero se quell'essere, all'apparenza così gracile, potesse resistere al freddo e alla neve. Evidentemente non aveva problemi. Dapprima fu avvistato seminudo in lontananza, poi fu visto scorazzare, sempre più spesso, vicino al villaggio. In primavera venne catturato di nuovo e questa volta in maniera definitiva. Fu trasportato all'ospedale Saint-Afrique, quindi a Rodez. Le voci sul ritrovamento si diffusero a macchia d'olio ed arrivarono all'orecchio di un ministro che se ne interessò in prima persona. Il caso era eccezionale, soprattutto per lo studio della mente, così il ragazzo dell'Aveyron venne richiesto a Parigi dove l'interesse e la curiosità crebbero di giorno in giorno. Se ne parlava come del "nobile selvaggio" descritto da Rousseau, ma chi si aspettava di vedere un uomo fiero, dai modi rudi e nel contempo affascinanti, rimase oltremodo deluso. Quello che si trovò di fronte era un essere tanto animalesco da mordere e graffiare chiunque gli si avvicinasse, che emetteva soltanto grugniti e ringhii, che andava avanti e indietro come una fiera in gabbia. Il famoso ed esperto psicologo Philippe Pinel mise a tacere le voci discordi che si erano levate sul suo conto: il selvaggio era un ritardato mentale che differiva dalle piante solo perché si muoveva e gridava. La diagnosi era autorevole e non lasciava spazio a repliche, tuttavia si trattava di una crescita in un contesto estraneo all'esperienza sociale e, come tale, lo studio andava approfondito.

Jean-Marc-Gaspard Itard, un medico appena ventiseienne, assunse l'incarico e subito si appassionò al caso. Quel selvaggio, così abulico e assente, non gli sembrava affatto ritardato. Nel suo modo di essere, anche se fissava il vuoto e si dondolava ossessivamente, c'era qualcosa che sembrava nascondere un'intelligenza latente in attesa di esprimersi. A riguardo i dati bibliografici non erano di grande conforto, tutti concludevano che nulla si potesse fare per educare i ragazzi selvaggi, ma Itard si convinse che le testimonianze precedenti erano poche, incomplete e frammentarie, e un apprendistato adeguato avrebbe riportato alla normalit à il suo giovane paziente. Sarebbero stati necessari svariati anni, è vero, ma ne valeva la pena. Itard pianificò i suoi obiettivi: 1) interessarlo alla vita sociale; 2) risvegliare la sua sensibilità nervosa; 3) migliorare la sua fantasia; 4) insegnargli a parlare attraverso l'imitazione; 5) farlo esercitare nelle operazioni più semplici per poi allargargli i processi mentali. Lo chiamò Victor, per quel suo strano modo di girarsi ogni qual volta si esclamava "Oh!", e si mise al lavoro.

Da quando era arrivato a Parigi, Victor si era chiuso in se stesso: dormiva, mangiava e in genere oziava rannicchiato in un angolo. Per prima cosa bisognava rendergli la vita più stimolante. Itard tentò regalandogli dei giocattoli, ma l'idea non ebbe successo: il ragazzino se ne disinteressò fino al punto di gettarli nel fuoco scaldandosi al loro calore. Itard, allora, riprovò cambiando tipo di stimoli, ma il risultato fu identico. Victor rimaneva nel suo stato di perenne apatia per risvegliarsi solo in circostanze particolari. Una forte nevicata, ad esempio, lo eccitò oltremodo, ma si trattava di un raro episodio. Più spesso rimaneva assorto in uno stato melanconico per poi muoversi con movimenti marcatamente impacciati o compiere balzi improvvisi accompagnati da un dondolamento ritmico. Altro non si poteva dire. Forse amava la natura perché sembrava interessato ai cavalli e agli altri animali ma il suo volto non tradiva nessuna emozione. Pareva non avesse sentimento alcuno. La luna, quando di notte era alta in cielo, sembrava rasserenarlo (era stato forse allevato da animali notturni?) ma nulla più. Per il resto Victor era indifferente al caldo e al freddo: poteva correre e rotolarsi seminudo nella neve senza scomporsi, allo stesso modo poteva addentare una patata bollente senza scottarsi. Rispondeva maggiormente ai sensi chimici (olfatto, gusto) e al tatto, meno alla vista e all'udito: anche un colpo di pistola non lo smuoveva. Ma Victor non era sordo, quando il rumore gli era familiare le sue orecchie funzionavano alla perfezione. Se ad esempio si sbucciavano le castagne alle sue spalle si girava interessato. Forse, pensò Itard, il gusto, il tatto e l'odorato erano sensi più primitivi, più automatici, mentre l'udito e la visione erano più raffinati e richiedevano organi specializzati che andavano adeguatamente educati. Evidentemente non lo erano stati nel caso di Victor.

Non riuscendo ad ottenere dei segnali di risveglio emozionale dal suo giovane paziente, il dottor Itard tentò di fargli dire qualche parola. Nel caso più favorevole Victor avrebbe potuto raccontare della sua esperienza di selvaggio, un'evenienza estremamente eccitante. Purtroppo, anche in questo settore, non ci fu nulla da fare e Itard sconsolato, scrisse: "[...] vedendo che il prosieguo dei miei sforzi ed il passare del tempo non portavano a nessun cambiamento, mi sono rassegnato alla necessità di smetterla coi tentativi di farlo parlare, e lo ho abbandonato al suo incurabile silenzio ". Dopo un impegno durato svariati anni Victor era riuscito a pronunciare solo due parole: "lait", ma senza che ne conoscesse per davvero il significato e "Oh Dieu", un'esclamazione che aveva sentito dalla sua tutrice. Per il resto farfugliava ed emetteva i soliti grugniti. Neanche il tentativo di fargli distinguere i suoni, ad esempio la differenza fra una campana ed un tamburo, ebbe successo. Dopo tutto, il compito non era poi così difficile e Itard ebbe l'impressione che Victor rispondesse solo a ciò che gli interessava. Forse era giunto il momento di smuoverlo cambiando atteggiamento: se Victor non aveva intenzione di mostrare le sue capacità con le buone l'avrebbe fatto con le cattive. Itard non era un sadico e non voleva certo il male del suo sfortunato amico e paziente, ma forse le maniere forti erano necessarie per completare il programma che si era imposto. Bendò il ragazzo affinché si concentrasse sull'udito ed iniziò a percuoterlo leggermente sulle mani per punirlo quando sbagliava. Anche così non andava, anzi più si faceva pesante l'addestramento e più si inasprivano i rapporti.

Se i progressi di Victor si potevano riassumere nel capire alcune domande semplici abbinate a piccoli compitini come "portami dell'acqua" va da sé che il cercare di fargli compiere delle semplici operazioni mentali fu l'ultima frustrazione in ordine cronologico. Itard venne preso da sconforto.

Dopo 5 lunghi anni di duro lavoro senza risultati il dottore divenne sempre più irascibile, perse spesso la pazienza, sfiorò persino la crudeltà e nel 1806 prese l'unica decisione possibile: rinunciò. Così scrisse: "Ho sperato invano. E' stato tutto inutile. Sono svanite così le brillanti attese su cui mi ero basato". Si pentì di aver iniziato quell'esperienza ed arrivò a condannare la "sterile inumana curiosità degli uomini che avevano strappato Victor dal suo posto". La storia del ragazzo dell'Aveyron finisce qui. Victor visse ancora a lungo, ma né gli insegnamenti di Itard, né le cure della sua tutrice Madame Guérin proseguite per oltre trent'anni, lo fecero mai cambiare.

Edited by iangida - 7/12/2009, 18:30
 
Top
M16A1
view post Posted on 8/5/2008, 17:58




incollo sempre dallo stesso sito, dice: ''nessuno dei ragazzi selvaggi si è mai integrato normalmente nella società. Sono tutti rimasti isolati mentalmente in un mondo tutto loro. Insomma il loro potere intellettivo non è mai cresciuto oltre quello di un bambino di pochi anni. Un fatto quanto mai curioso è che nessuno, con l'eccezione di Kaspar Hauser, abbia mai fatto domande. Il paragone può sembrare irrispettoso, ma neppure le scimmie antropomorfe a cui è stato insegnato una qualche forma di linguaggio hanno mai posto domande dirette''


che strano,non pensavo...


forse hanno utilizato semplicemente un metodo sbagliato

Edited by M16A1 - 18/5/2008, 18:34
 
Top
1 replies since 7/5/2008, 20:47   4728 views
  Share