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Platone: mito di Teuth e lettera VII

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iangida
view post Posted on 18/3/2010, 08:43




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Platone: Il Mito di Teuth - Dialogo e scrittura


Socrate Ho sentito narrare che a Naucrati d'Egitto dimorava uno dei vecchi dèi dei paese, il dio a cui è sacro l'uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l'inventore dei numeri, del calcolo, della geometria e dell'astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell'alfabeto. Re dell'intiero paese era a quel tempo Thamus, che abitava nella grande città dell'Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe egiziana e il cui dio è Ammone. Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli. Quando giunsero all'alfabeto: «Questa scienza, o re - disse Theuth - renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria». E il re rispose: «O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E così ora tu, per benevolenza verso l'alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall'interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l'apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d'essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorre- re, imbottiti di opinioni invece che sapienti». [...1
Fedro Fai bene a darmi addosso; anch'io son del parere che riguardo l'alfabeto le cose stiano come dice il Tebano.
Socrate Dunque chi crede di poter tramandare un'arte affidandola all'alfabeto e chi a sua volta l'accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve essere pieno d'una grande ingenuità, e deve ignorare assoluta- mente la profezia di Ammone se s'immagina che le parole scritte siano qualcosa di più dei rinfrescare la memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto.
Fedro E giustissimo. Socrate Perché vedi, o Fedro, la scrittura è in una strana condizione, simile veramente a quella della pittura. 1 prodotti cioè della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano le parole scritte: crederesti che potessero parlare quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono, esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo in iscritto, ogni discorso arriva alle mani di tutti, tanto di chi l'intende tanto di chi non ci ha nulla a che fare; né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato ed offeso oltre ragione, esso ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto, perché esso da solo non' può difendersi né aiutarsi.
Fedro Ancora hai perfettamente ragione.
Socrate E che? Vogliamo noi considerare un'altra specie di discorso, fratello di questo scritto, ma legittimo, e vedere in che modo nasce e di quanto è migliore e più efficace dell'altro?
Fedro Che discorso intendi e qual è la sua origine?
Socrate li discorso che è scritto con la scienza nell'anima di chi impara: questo può difende-
re se stesso, e sa a chi gli convenga parlare e a chi tacere.
Fedro Intendi tu il discorso di chi sa, vivente e animato e del quale quello che è scritto
potrebbe dirsi giustamente un'immagine?
Socrate Sì, proprio questo.

Platone: Lettera VII Politica e Filosofia


PLATONE - LETTERA VII
[...]Da giovane anch’io feci l’esperienza che molti hanno condiviso. Pensavo, non appena divenuto padrone del
mio destino, di volgermi all’attività politica.
Avvennero nel frattempo alcuni bruschi mutamenti nella situazione politica della città. Il governo di allora,
attaccato da più parti, passò in altre mani, finendo in quelle di cinquantun uomini di cui undici erano in città e
dieci al Pireo; ciascuno di questi aveva il compito di presiedere al mercato e aveva incarichi amministrativi. Al di
sopra di tutti c’erano però trenta magistrati che erano dotati di pieni poteri.
Caso volle che fra questi si trovassero alcuni miei parenti e conoscenti che non esitarono a invitarmi nel governo,
ritenendo questa un’esperienza adatta a me. Considerata la mia giovane età, non deve meravigliare il mio stato
d’animo: ero convinto che avrebbero portato lo Stato da una condizione di illegalità ad una di giustizia. E così
prestai la massima attenzione al loro operato.
Mi resi conto, allora, che in breve tempo questi individui riuscirono a far sembrare l’età dell’oro il periodo
precedente, e fra le altre scelleratezze di cui furono responsabili, mandarono, insieme ad altri, il vecchio amico
Socrate –una persona che non ho dubbi a definire l’uomo più giusto di allora- a rapire con la forza un certo
cittadino al fine di sopprimerlo. E fecero questo con l’intenzione di coinvolgerlo con le buone o con le cattive nelle
loro losche imprese. Ma Socrate si guardò bene dall’obbedire, deciso ad esporsi a tutti i rischi, pur di non farsi
complimenti delle loro malefatte.
A vedere queste cose ed altre simili a queste di non minore gravità, restai davvero disgustato e ritrassi lo sguardo
dalle nefandezze di quei tempi.
Poco dopo avvenne che il potere dei Trenta crollasse e con esso tutto il loro sistema di governo. Ed ecco di nuovo
prendermi quella mia passione per la vita pubblica e politica; questa volta però fu un desiderio più pacato. Anche
in quel momento di confusione si verificarono molti episodi vergognosi, ma non fa meraviglia che nelle rivoluzioni
anche le vendette sui nemici siano molto più feroci. Tuttavia gli uomini che in quella circostanza tornarono al
governo si comportarono con mitezza.
Avvenne però che alcuni potentati coinvolgessero in un processo quel nostro amico Socrate, accusandolo del più
grave dei reati, e, fra l’altro, di quello che meno di tutti si addiceva ad no come Socrate. Insomma, lo
incriminarono per empietà, lo ritennero colpevole e lo uccisero; e pensare che proprio lui si era rifiutato di prender
parte all’arresto illegale di uno dei loro amici, quando erano banditi dalla Città e la malasorte li perseguitava.
Di fronte a tali episodi, a uomini siffatti che si occupavano di politica, a tali leggi e costumi, quanto più, col
passare degli anni, riflettevo, tanto più mi sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto. Senza
uomini devoti e amici fidati non era possibile combinare nulla e d’altra parte non era per niente facile trovarne di
disponibili, dato che ormai il nostro stato non era più retto secondo i costumi e il modo di vivere dei padri ed era
impossibile acquisirne di nuovi nell’immediato.
Il testo delle leggi, e anche i costumi andavano progressivamente corrompendosi ad un ritmo impressionante, a tal
punto che uno come me, all’inizio pieno di entusiasmo per l’impegno nella politica, ora, guardando ad essa e
vedendola completamente allo sbando, alla fine fu preso da vertigini.
In verità, non cessai mai di tenere sott’occhio la situazione, per vedere se si verificavano miglioramenti o riguardo
a questi specifici aspetti oppure nella vita pubblica nel suo complesso, ma prima di impegnarmi concretamente
attendevo sempre l’occasione propizia. Ad un certo punto mi feci l’idea che tutte le città soggiacevano a un cattivo
governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona dose di fortuna, si trovavano in
condizioni pressoché disperate. In tal modo, a lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da
essa viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello pubblico che privato. I mali, dunque,
non avrebbero mai lasciato l’umanità finché una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme
cariche dello Stato, oppure finché la classe dominante negli Stati, per un qualche intervento divino, non si fosse
essa stessa votata alla filosofia. [...]
 
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